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Libri Cristiani


LA GLOSSOLALIA


di Roberto Bracco







Parte Terza: Valore della Glossolalia






1. Introduzione

2. Esame della "glossolalia" alla luce del fatto che Paolo risponde a precise domande dei Corinzi su problemi specifici

3. Errori determinati dall'estrapolazione delle parole di Paolo dal proprio contesto

4. Impossibilità di poter fare una classificazione dei doni in funzione dell'ordine di elencazione




1. Introduzione

L’Apostolo Paolo ringraziava Dio perché aveva ricevuto e possedeva il dono delle lingue (2ª Cor. 14:18), eppure molti studiosi moderni continuano ad affermare che egli giudicava la "glossolalia" un dono inferiore e ne scoraggiava l’esercizio.

Sembra strano che il grande servo di Gesù Cristo possa con tanto calore ringraziare Dio per un dono che poi giudica privo di valore e che consiglia addirittura di accantonare.

L’equivoco e l’incoerenza non sono in Paolo, ma nei suoi interpreti che analizzano alcune parole contenute nella prima epistola ai Corinzi partendo da posizioni chiaramente preconcette.

L’errore esegetico è determinato particolarmente da due elementi:

1. Dimenticare che Paolo risponde ai credenti di Corinto che hanno formulato precise domande poste in relazione ad alcune particolari situazioni locali.

2. Fermarsi sopra alcune parole dell’Apostolo e citarle a sostegno delle proprie tesi, scardinandole dal contesto fino al punto di interrompere una frase proprio là dove dovrebbe essere completata per chiarire il pensiero di Paolo.

2. Esame della "glossolalia" alla luce del fatto che Paolo risponde a precise domande dei Corinzi su problemi specifici

L’Apostolo, nel trattare il problema della vita carismatica, è costretto a riferirsi ad una situazione locale particolarissima.

Appare chiaro che nella chiesa di Corinto l’esercizio dei doni dello Spirito veniva praticata "fuori" e "in opposizione" a quei principi di discernimento e di ordine (1ª Cor. 12:3; 14:23; 14:40) che sono essenziali per l’edificazione della chiesa.

I credenti di quella comunità amavano la libera espansione delle loro emozioni e le più esuberanti e "spettacolari" forme di comunione e di culto e si abbandonavano di conseguenza alle più incontrollate manifestazioni carismatiche.

La glossolalia, che per le sue caratteristiche intrinseche sfugge più facilmente ad un controllo e che in misura accentuata offre uno stimolo emozionale, sembra esser stata preferita dai Corinzi ed esercitata in misura così ampia da togliere spazio non solo agli altri carismi dello Spirito, ma anche specificatamente al dono d’interpretazione che rappresenta l’elemento integrativo delle "lingue".

Le riunioni di culto nella comunità, perduto il controllo e l’ordine, avevano finito anche col perdere ogni carattere edificativo ed evangelistico e si erano svuotati di tutti gli elementi indispensabili per essere autentica offerta a Dio.

Paolo interviene per ricordare:

Che nella chiesa "tutti" i doni sono stati dati dallo Spirito e "tutti" devono essere esercitati nello Spirito (1ª Cor. 12:11)

Che i "doni" hanno uno scopo edificativo ed evangelistico e non devono essere esercitati per soddisfare aspirazioni umane o per provare sensazioni od emozioni (1ª Cor. 14:37).

Che l’esercizio dei doni deve essere disciplinato da un principio d’ordine che è "opportunità" "avvicendamento" "equilibrio" (1ª Cor. 14:31-33)

Che tutti i credenti devono sentirsi impegnati nella celebrazione del culto, ma tutti devono essere sottoposti alla guida dello Spirito (1ª Cor. 14:26).

Egli si dilunga in modo particolare a parlare del "dono delle lingue" appunto perché è quello al quale è stato consentito di invadere il campo ove doveva fiorire la vita carismatica;
l’Apostolo non ordina di sopprimere, ma di ridurre alle misure volute dallo Spirito l’esercizio della glossolalia.

Le lingue non devono togliere lo spazio alla profezia, alla sapienza, alla scienza o agli altri doni spirituali, ma devono essere soltanto una parte di quella "vita" che deve essere manifestata dalla chiesa, corpo di Cristo (1ª Cor. 12:27).

Come nel "corpo" ci sono molte membra, diverse l’una dall’altra, così nella chiesa devono esserci e manifestarsi funzioni che possano integrarsi vicendevolmente nella loro varietà; tutte contribuiscono all’edificazione se esercitate non in opposizione o in concorrenza, ma in armonia con i principi generali dell’ordine.

Per questi motivi, infatti, Paolo conclude: «Così dunque, fratelli miei, appetite come a gara il profetizzare e non vietate il parlar in linguaggi…» (1ª Cor. 14:39).

Queste parole sembrano quasi dettate dalla preoccupazione di un possibile equivoco; quello che poteva nascere proprio dal fatto che l’Apostolo era stato costretto a soffermarsi a lungo sull’argomento della glossolalia per squalificare il metodo incomposto seguito dai credenti di Corinto.

Non voglio "sopprimere" le lingue, sembra concludere Paolo, anzi non ostacolatene l’esercizio, vi esorto, però, a non farne l’elemento esclusivo della vostra vita carismatica e, soprattutto, vi raccomando di armonizzarle con l’interpretazione e alternarle con la profezia che avete respinta fuori dalle vostre riunioni.

3. Errori determinati dall'estrapolazione delle parole di Paolo dal proprio contesto

Vengo al secondo punto ricordato che è poi quello maggiormente ricorrente come termine di controversia, cioè all’interpretazione del passo 1ª Cor. 14:5.

Le parole sottolineate dagli esegeti che cercano di dimostrare la inutilità della glossolalia sono: «…è maggiore chi profetizza che chi parla in linguaggi...».

L’Apostolo, dicono, compie un confronto qualitativo ed enuncia una valutazione: c’è un dono che è più importante ed un altro che ovviamente è meno importante; quindi cerchiamo il primo e trascuriamo il secondo.

Si può subito osservare che prima di queste parole, Paolo ha scritto: «Or io voglio che tutti parliate linguaggi…».

Linguaggi, come già detto, che i credenti di Corinto già parlavano in misura esuberante ed incontrollata.

Si può anche osservare che è anche stabilito un principio di differenziazione qualitativa; questo principio non provoca l’eliminazione di ciò che è minore a totale beneficio di ciò che è maggiore, ma non è su queste osservazioni che voglio richiamare l’attenzione del lettore, ma proprio sulle parole di Paolo: «…maggiore è chi profetizza che chi parla linguaggi, SE NON CHE EGLI INTERPRETI, ACCIOCCHÈ LA CHIESA NE RICEVA EDIFICAZIONE».

L’Apostolo è di una chiarezza assoluta:

Se la "glossolalia" è esercitata disordinatamente, come appunto fra i credenti di Corinto, cioè collettivamente, senza essere seguita da interpretazione, perde quella sostanzialità edificativa che deve avere e diviene inferiore alla profezia ed anche ad ogni altro carisma, ma SE è seguita dall’interpretazione e riceve quindi la giusta collocazione nella vita spirituale della chiesa, riacquista interamente il proprio valore che è poi lo stesso valore di "ogni" dono dello Spirito.

4. Impossibilità di poter fare una classificazione dei doni in funzione dell'ordine di elencazione

È impossibile compiere una classificazione dei "doni" perché la loro validità è in relazione alle esigenze spirituali della chiesa e all’opera del ministero cristiano.

Se è vero che qualche volta l’esorcismo (Atti 16:18) deve essere il primo posto, è altrettanto vero che questo deve essere dato in altra occasione alla taumaturgia (Atti 14:10) o alla profezia (Atti 21:11) o a qualsiasi altra qualificazione carismatica.

Nelle riunioni di culto, nel senso strettissimo del termine, devono esserci e devono alternarsi: salmo, linguaggi, rivelazione, interpretazione, profezia… (1ª Cor. 14:26-29) e tutte queste componenti devono essere considerate ugualmente valide e complementari per l’offerta di un culto a Dio e per l’edificazione della chiesa.

Questo passo della Scrittura risponde ad un’altra osservazione negativa fatta da alcuni che, per squalificare la "glossolalia", fanno notare che nel catalogo paolino questa, insieme all’interpretazione, è collocata all’ultimo posto.

La tesi è di una fragilità che rasenta la puerilità e viene subito demolita dal verso ora citato e che pone la glossolalia esattamente al centro delle manifestazioni carismatiche ricordate e trasferisce addirittura la profezia all’ultimo posto.

D’altronde nell’elencare realtà di uguale valore cosa si può fare per non collocarne uno all’ultimo posto?

Ma che la cronologia letteraria non abbia sempre il carattere di discriminazione è affermato da un altro passo della epistola ai Corinzi: «Tre cose durano al presente: fede, speranza e carità…ma la maggiore di esse è la carità» (1ª Cor. 13:13).

Sì! Proprio quella che si trova collocata all’ultimo posto!

No, Paolo non vuole svuotare del proprio valore il dono delle lingue perché per lui:

«è dato dallo Spirito per ciò che è utile ed opportuno…» (1ª Cor. 12:7).

Permette di parlare con Dio e ragionare misteri in Spirito (1ª Cor. 14:2).

La glossolalia edifica il credente… (1ª Cor. 14:4),

edifica la chiesa quando ha il suo naturale complemento (1ª Cor. 14:5).

La glossolalia è nel credente spirito di preghiera, fonte di gioia, impulso di esaltazione; è un "segno" che accompagna la chiesa nel ministerio evangelistico.

L’Apostolo è felice di possedere, in misura copiosa questo carisma e vuole che la chiesa non soltanto realizzi il dono, ma lo eserciti regolarmente, e chiede soltanto che non sia trasformato in un mezzo per esaltare emozioni disordinate che finiscono sempre per soffocare la vita ordinata della comunità e quindi anche l’armonico ed equilibrato uso dei doni spirituali largiti da Dio.

In conclusione, l’Apostolo non vuole sbiadire, ma mettere a fuoco, per esaltare il dono delle lingue che egli possiede e che desidera per la chiesa a condizione, naturalmente, che questa lo sappia e voglia usare in sottomissione all’ordine dello Spirito.



Collegamento allo studio originale sul sito dal sito della Chiesa di Roma alla pagina interna raggiungibile al link seguente Persecuzione in Italia - di Roberto Bracco-pdf


RIASSUMENDO:


1. Introduzione

L’Apostolo Paolo ringraziava Dio perché aveva ricevuto e possedeva il dono delle lingue (II Cor. 14:18), eppure molti studiosi moderni continuano ad affermare che egli giudicava la "glossolalia" un dono inferiore e ne scoraggiava l’esercizio.


2. Esame della "glossolalia" alla luce del fatto che Paolo risponde a precise domande dei Corinzi su problemi specifici

L’equivoco e l’incoerenza provengono dal fatto che si analizzano alcune parole contenute nella prima epistola ai Corinzi partendo da posizioni chiaramente preconcette.

1. Si dimentica che Paolo risponde a precise domande dei credenti di Corinto in relazione ad alcune particolari situazioni locali.

2. Ci si ferma sopra alcune parole dell’Apostolo scardinandole dal contesto.


3. Errori determinati dall'estrapolazione delle parole di Paolo dal proprio contesto

Nella chiesa di Corinto l’esercizio dei doni dello Spirito veniva praticata "fuori" e "in opposizione" a quei principi di discernimento e di ordine che sono essenziali per l’edificazione della chiesa, con la preferenza della glossolalia che era esercitata in misura così ampia da togliere spazio agli altri carismi dello Spirito.

Paolo interviene per ristabilire il giusto equilibrio nell'esercizio di tutti i doni e per ricordare che questi hanno uno scopo edificativo ed evangelistico e non devono essere esercitati per soddisfare aspirazioni umane o per provare sensazioni od emozioni. Egli riafferma, inoltre, che tutti i credenti devono sentirsi impegnati nella celebrazione del culto, ma tutti devono essere sottoposti alla guida dello Spirito.

Come nel "corpo" ci sono molte membra, diverse l’una dall’altra, così nella chiesa devono esserci e manifestarsi funzioni che possano integrarsi vicendevolmente nella loro varietà; tutte contribuiscono all’edificazione se esercitate non in opposizione o in concorrenza, ma in armonia con i principi generali dell’ordine.


3. Estrapolare le parole di Paolo

Le parole sottolineate dagli esegeti che cercano di dimostrare la inutilità della glossolalia sono: «…è maggiore chi profetizza che chi parla in linguaggi...».

Ma l’Apostolo è di una chiarezza assoluta: Se la "glossolalia" è esercitata disordinatamente, come appunto fra i credenti di Corinto, senza essere seguita da interpretazione, perde quella sostanzialità edificativa che deve avere e diviene inferiore alla profezia ed anche ad ogni altro carisma, ma SE è seguita dall’interpretazione e riceve quindi la giusta collocazione nella vita spirituale della chiesa, riacquista interamente il proprio valore che è poi lo stesso valore di "ogni" dono dello Spirito.


4. Impossibilità di poter fare una classificazione dei doni in funzione dell'ordine di elencazione

È impossibile compiere una classificazione dei "doni" perché la loro validità è in relazione alle esigenze spirituali della chiesa e all’opera del ministero cristiano, inoltre la tesi che la "glossolalia" sia inferiore agli altri doni perchè collocata all’ultimo posto viene subito demolita da 1 Cor. 14:26-29 che pone la glossolalia esattamente al centro delle manifestazioni carismatiche ricordate e trasferisce addirittura la profezia all’ultimo posto.

Ma che la cronologia letteraria non abbia sempre il carattere di discriminazione è affermato da un altro passo della epistola ai Corinzi: - «Tre cose durano al presente: fede, speranza e carità…ma la maggiore di esse è la carità» (1 Cor. 13:13). Sì! Proprio quella che si trova collocata all’ultimo posto!

No, Paolo non vuole svuotare del proprio valore il dono delle lingue. La glossolalia è nel credente spirito di preghiera, fonte di gioia, impulso di esaltazione; è un "segno" che accompagna la chiesa nel ministerio evangelistico.

L’Apostolo è felice di possedere, in misura copiosa questo carisma e vuole che la chiesa non soltanto realizzi il dono, ma lo eserciti regolarmente, e chiede soltanto che non sia trasformato in un mezzo per esaltare emozioni disordinate che finiscono sempre per soffocare la vita ordinata della comunità e quindi anche l’armonico ed equilibrato uso dei doni spirituali largiti da Dio.